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Covid-30 #3 | Campo Est

di Mauro Chinappi


Leggi la prima e la seconda puntata


31/03/2030, ore 10:00.


Aveva impiegato più di un’ora e mezza per arrivare al campo. Mezz’ora di fila alla barriera della sua ACC, un’altra mezz’ora sulla A24 e poi mezz’ora all’accesso del campo. Controlli sanitari. Sarebbe stata una lunga giornata, lo aveva intuito fin dal notiziario del mattino. In nottata, una ACC di Roma centro era stata dichiarata zona rossa e, cautelativamente, tutta la città era stata promossa a zona arancione. Andava sempre così i primi giorni, almeno finché non identificavano il ceppo. Ceppo noto: una chiusa di qualche giorno e poi un lento rilassamento delle restrizioni corredato da noiose scaramucce sulle sulle modalità di riapertura. Ceppo nuovo: tutto chiuso per almeno due mesi. Poi, se andava aggiornato il chip sottopelle, per la prossima birretta fuori casa se ne parlava a settembre.


Era nell’aria, comunque. A metà marzo la mappa del Ministero della salute aveva iniziato a puntellarsi di rosso in tutta la Toscana, partendo da Firenze centro. Uno schema visto e rivisto. Le ondate partivano sempre dalle ACC del centro. Lì vivevano la maggior parte dei tesserati. Loro viaggiavano, loro portavano il virus. Durante la COVID-26, metà del gruppo di ricerca di Chiara era risultato positivo dopo un viaggio aziendale a Tokyo. Pare che l’infezione fosse avvenuta ad un corso di tempura. Due settimane dopo il loro rientro, otto capitali europee erano rosse.


Nello schermo dello spogliatoio del Campo Est consultò con più cura la mappa del Ministero. Nell’Unione erano bianche solo alcune aree della Cappadocia e delle Alpi. Il resto tutto verde e giallo tranne una macchia rossa ad Amsterdam e una a Firenze. Ingrandendo sulle altre città, apparivano i primi puntini rossi circondati da zone arancioni. Mise i suoi abiti nell’armadietto. “Non avrei dovuto mettere la maglia dei Led”, pensò, “Con questa storia della zona arancione faranno sicuramente la sterilizzazione degli abiti e addio colore”. Ma lui era nel programma WW. Non poteva lamentarsi. Era per la sua sicurezza. Sorridere, lavorare e ringraziare. Poi, a chi si lamentava, toccavano sempre le serre più scomode. All’assistente non piacevano le lamentele. Indossò tuta e cuffie. Avvicinò il braccio destro alla placca. Un bip dalla placca e un bip dalle cuffie.


“Buongiorno, Riccardo”.


“Buongiorno”.


“La trovo bene. Spero abbia passato una buona nottata. Purtroppo abbiamo notizie spiacevoli. Avrà saputo dei contagi in centro. Oggi tutte le Aree Contenimento Contagio a lei accessibili sono in zona arancione”.


“Si, l’ho sentito. Un bel pasticcio”.


“Eh, si. Speriamo vada bene. Mi pare lei rientri nella fascia di rischio III. Quindi, oltre alle consuete precauzioni, durante le pause dovrà restare in serra. Un carrello le porterà il pranzo insieme una poltrona reclinabile per riposarsi e uno schermo per lo svago. Inoltre, non dovrà sostare a meno di cinque metri dai suoi collaboratori. Per agevolarla, le cuffie emetteranno un suono qualora, per errore, dovesse trovarsi a distanze inferiori. Infine, mi rincresce informarla che, per contenere il potenziale contagio e proteggere i nostri concittadini, al rientro nella sua abitazione non le sarà possibile uscire. Mi dispiace molto. Spero non avesse programmi per i prossimi giorni”.


“Nulla di particolare. Pazienza”.


“Le manca qualcosa in casa? Se serve possiamo provvedere e farle trovare in auto dei prodotti”.


“Forse mi potrebbero servire un paio di birree del baccalà spugnato”.


“Vedo che posso fare, ma temo che l’alcool non rientri nella lista dei beni di prima necessità per la zona arancione”.


“Va bene. Grazie comunque”.


“Come sempre, arrivato alle serre, le verrà indicato dove recarsi. Le auguro una buona giornata”.


Era una cortese voce maschile. La porta scorrevole si aprì. Riccardo uscì e imboccò il corridoio per le serre. “Stronzo” pensò, cercando di non far trasparire smorfie. Bisognava essere cauti nelle esternazioni. Gli assistenti decifravano le espressioni facciali. Dieci anni fa non era così. Li potevi insultare e trollare e loro “Non penso di meritare questo trattamento” “Ho cercato su internet cosa significa, non è una cosa carina da dire a chi è qui per aiutarti”. Nel 2030, invece, l’assistente virtuale capiva, rispondeva, empatizzava, disquisiva, polemizzava. Se lo trattavi male ti faceva sentire in colpa. Se chiacchieravi del più e del meno, si confidava. Se alzavi la voce, si incazzava. Soprattutto, i brevi scambi mattutini con l’assistente del Campo Est andavano a nutrire la scheda informativa del lavoratore. Se in mattinata l’assistente percepiva che due lavoratori erano un po’ nervosetti, li disponeva su serre diverse. Se intuiva che c’era del tenero in una coppia, li assegnava a turni e giorni distinti. Le otto ore di lavoro dovevano scorrere serene. Senza passioni.


La serra idroponica era deserta. Protocollo arancione. Le fragole penzolavano a circa un metro di altezza. Si avvicinò al primo filare. Lo scanner rivelò velocemente le sue misure antropometriche e alzò il filare di 10 centimetri. “Il lavoratore al centro”. Ergonomia, cibo sano, pause ben distribuite, permessi malattia, visite di controllo, nessun pesticida tossico. Il sogno dei sindacati di fine ‘900. Lavoro, stabilità, benessere e rispetto. Peccato che avevano pagato con la libertà. Sette ore dopo era al decimo filare. Dodici cassette. Una giornata produttiva. Se aveva fatto bene i conti, questo gli avrebbe permesso di ottenere il premio produzione per marzo. Cosa ci avrebbe fatto poi col premio produzione, era un altro paio di maniche. Se bloccavano tutto, sicuramente prima di Settembre non avrebbe potuto fare neanche un salto in spiaggia.


Accessi contingentati, che poi voleva dire che accedevano solo i tesserati. Per contenere il contagio andava ridotto drasticamente il numero di persone in giro. I beneficiari del programma WW erano i primi a restare a casa. D’altronde non potevano lamentarsi, erano comunque quelli tagliati fuori dal mondo del lavoro a cui l’Unione aveva garantito una vita dignitosa. Il mare, quest’anno, lo avrebbero visto solo i tesserati. Gli stessi che in mattinata, al cancello della ACC 00171A, saltavano la fila. Gli stessi le cui poche auto sfrecciavano sulle due corsie preferenziali della A24 mentre lui e gli altri WW procedevano lentamente. Certo, si ammalavano anche i tesserati e qualcuno ogni tanto ci rimetteva pure le penne. Il virus non faceva questioni di censo. Ma se il contagio era contenuto, gli ospedali non collassavano e quindi i malati potevano essere curati opportunamente. Le letalità non erano così elevate, dallo 0.2 all’1% nella COVID-28, forse il 4% nella COVID-26 (brutta annata quella). C’erano anche i tesserati che, come lui, avrebbero passato i prossimi mesi a casa, per prudenza. Certo magari una casa diversa dalla sua, con un giardino o un terrazzo per prendere il sole e fare una grigliata.


Il punto era che loro potevano scegliere se rischiare le penne. Lui no. Riccardo pensava a tutto questo mentre, alle 17:10, tra due piante del filare 8, nastro 5, trovò un pezzetto di carta ripiegato. Lo aprì con cura fingendo di potare qualche radice ammalorata. “29 Aprile 2030, 21:30, canale TX-AY, nickname GIADA92. Non mancare.” Lesse, memorizzò e butto il foglietto tra i rifiuti insieme alle fragole scartate e le foglie secche.

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