Il breve commento da noi scritto per l’assunzione del signor Italo Minunni a direttore della “Gazzetta di Torino” ha provocato un articolo dell’“Idea Nazionale” e una lunga risposta del Minunni stesso. Il Minunni non fa che ampliare ciò che i suoi direttori spirituali avevano anticipato; pertanto le nostre chiarificazioni valgono per l’uno e per gli altri.
La discussione non è astratta. Per noi essa è ben concreta ed attuale e le osservazioni da noi fatte hanno valore storico più che valore schematico. La tesi, che la censura si è incaricata di rendere monca nella sua enunciazione, è questa: economicamente la classe borghese in Italia non ha ancora vissuto. Essa è stata finora solo una classe storica (si ricordi ciò che Federico Engels ha scritto sulle classi storiche e le classi economiche), che ha dato al paese solo una attività politica.
La scissione tra politica ed economia è la causa più grande del confusionismo e della corruzione di costumi che caratterizzano gli ultimi cinquant’anni di storia italiana. La borghesia non ha avuto spina dorsale, non ha avuto programmi concreti e rettilinei, perché non era una classe di produttori, ma un’accolita di politicanti. Col nascere e lo svilupparsi del movimento nazionalista si osserva questo fatto: il conglutinarsi di singole categorie economiche borghesi su un programma economico. Non a caso queste categorie hanno fatto proprio il programma economico nazionalista. Esse non sono ancora assurte alla comprensione della classe (che economicamente non è nazionale, ma internazionale) e lo spirito di corporazione le ha gettate dalla parte del nazionalismo economico, che, sfrondato delle sue ideologie, dei rivestimenti retorici, del multicolore piumaggio utile nella stagione degli amori, si riduce al vecchio protezionismo, cioè al far servire lo Stato come distributore di ricchezze, come creatore di ricchezze private, dato che il protezionismo non fa che spostare le ricchezze, far passare il capitale dalle tasche dei contribuenti e dagli investimenti in attività non protette, nelle attività protette e nelle tasche dei capitalisti delle industrie protette. Il nazionalista economico compie così nel campo borghese la stessa funzione che nel campo proletario ha compiuto il riformismo. Sveglia e organizza, sotto il pungolo di un fine immediato (travestito da fine universale di classe), i singoli individui che incominciano a sentire la solidarietà di casta, di corpo.
Il tardo ingresso dell’Italia nell’attività capitalistica ha portato a questa confusione ideologica (che si riflette in confusione pratica, di azione e di programma): l’immaturità di pensiero storico del nazionalismo economico vince la maturità di pensiero del liberalismo, che è vera dottrina di classe, non solo nazionale, ma anche internazionale, e pertanto tende a una saldatura economica tra le varie borghesie nazionali, ad un accrescimento della ricchezza capitalisti-ca internazionale attraverso il liberismo, mentre il nazionalismo protezionistico ha fini più ristretti, non di classe, ma di aggruppamenti nazionali di determinate categorie industriali ed agrarie. Nella realtà storica attuale è avvenuto che il proletariato italiano, assurgendo alla comprensione del socialismo rivoluzionario, ha acquistato la maturità di pensiero, che gli fa discernere i suoi veri interessi di classe internazionale, dagli interessi delle categorie singole, che trionfando attraverso la tattica riformista portavano a risultati antieconomici, distruttori della ricchezza attuale, senza che fossero pungolo a miglioramento della tecnica industriale, a semplificazioni burocratiche, a facilitazioni negli scambi. Invece la borghesia incomincia solo ora il processo di presa di coscienza della propria individualità di classe, e le minoranze di essa che prime si sono organizzate, teorizzano gli interessi loro particolari, li fanno coincidere con la nazione, con la classe. Ma per la critica rimangono minoranze, categorie, e i loro interessi si rivelano parassitari, antieconomici.
La dottrina della classe borghese è quella liberale, che ha trionfato integralmente in Inghilterra e negli Stati Uniti dove la borghesia è classe economica e storica contemporaneamente, non ha trionfato in Francia per l’economia, data la prevalenza delle categorie borghesi commerciali e ban-carie, e non delle categorie direttamente produttrici. La dottrina liberale è pertanto, dal punto di vista storico di classe, la vera antagonista del socialismo rivoluzionario, e questo antagonismo diretto è rivelato anche dalle somiglianze, che esistono tra le due dottrine. Il nazionalismo economico corrisponde al riformismo; ha apparenza rivoluzionaria come l’aveva il riformismo ai suoi bei tempi, perché ogni dottrina che smuove sedimenti sociali, amorfi e inerti fino allora, ha apparenze rivoluzionarie. Ma nella realtà dei fatti e nella realtà del pensiero l’accostamento è solo quello da noi fatto. Il movimento neoborghese iniziatosi a Torino per opera degli industriali metallurgici, ha tutti i caratteri del riformismo, e la chiamata del signor Italo Minunni alla “Gazzetta” segna anche nell’esteriorità il fenomeno. Non avrà risultati, non riuscirà nei suoi intenti, che sono di collaborazione economica di classe, perché il proletariato socialista torinese ha vinto già in seno al suo Partito l’ideologia riformista, si è dichiarato spesso liberista, ha compreso che per le rivendicazioni di classe è necessario che la ricchezza globale nazionale e internazionale sia in incremento, e non avvengano solo spostamenti di ricchezza. Un pensiero immaturo ed oltrepassato non riesce mai a sostituirne uno maturo ed organizzato stabilmente.
Ecco anche perché abbiamo stabilito una gerarchia di superiorità tra l’“ Avanti!” e l’“Idea Nazionale”. L’“Avanti!” è l’esponente della classe proletaria che ha raggiunto una maturità ideologica e storica, ed è pertanto la più importante delle due ai fini del divenire storico: l’“Idea Nazionale” è il balbettio, l’inizio di vita della classe borghese integrale, storica ed economica, che non avrà tempo di diventare, di arrivare all’idea liberale, […].